Vestirsi Di Poesia

Vestirsi di poesia, sorseggiare poesia al crepuscolo, osservare la schiuma poetica del mare, bere poesia alla fonte del bello che avanza, distogliere lo sguardo dalla cenere fredda e sentire il fuoco che divora, per rigenerare, e come araba fenice risorgere dalle proprie ceneri.
Se solo la gente sapesse quanto universo c’è all’interno di un verso…
Ho pezzi di cielo nelle mani che danzano la vita che scorre, l’incedere del giorno è ineluttabile, mentre una notte dilagante soffoca l’avvenire. Siamo piccole formiche che arrancano, divorando ogni senso ed ogni radice di bellezza. Sono certo di conoscere come fosse mia, la radice della pena, per le lacrime versate, e quelle in divenire. 

Potrei fare altro che poetare inutilmente, non so se i miei versi si possano definire belli, ma so da dove vengono e mi basta, sono il me che si srotola, sulla strada polverosa del lento incedere, arrancando ogni istante di vita, consapevole che c’è una buca profonda d’indifferenza all’altrui pena, una buca che si riempie d’ideali e passioni, e aggregazioni antiche, di cori assordanti, nelle piazze dove il popolo poteva determinare il proprio futuro. Se conoscesse la massa quale razza di potere possiede. Per questo motivo si cerca di frantumare la massa pensante. 

Mia Madre sussurrava le sere a lume di candela, si vestiva dei versi che poi avrebbero vestito la mia anima nuda, lei sapeva che un sorriso aveva più forza di una pistola, era certa che se solo per un istante tutta l’umanità avesse sorriso, la gioia sarebbe apparsa inarrestabile. 
Potrei ancora gridare, lo sdegno, la volontà di cambiamento, ma sono certo che ogni rivoluzione ha senso solo se è individuale, come cercare di dividere numeri primi divisibili solo con se stessi. 
Da bambino sulle colline bolognesi, il sapore del latte di pecora, il formaggio fresco, la ricotta con lo zucchero di mattina, la mungitura delle pecore, gli agnelli che correvano per non essere rinchiusi nello stalletto, così da poter portare le pecore al pascolo, ed il pascolo era dall’altra sponda, su di un’altra collina, il cane faceva la guardia, ed io osservavo gli insetti, la piccola vita, nel silenzio, nell’attesa del momento in cui sarei tornato a casa, mia madre mi avrebbe cantato la gioia del ritorno, e la cena ascoltando radio capo d’Istria, davanti al camino, le storie di un tempo, “il caldo buono”, il naufragar mi è dolce, nel pensier mi fingo, mentre m’illumino d’immenso, Stendhal sviene mentre la bellezza dilaga, ed io sono piccolo e ascolto sorseggiando ogni goccia della poesia della vita.

Questo è il retaggio del mio essere poeta, del mio navigare nell’oscurità, e trovare chicchi di luce, all’interno di versi miei, ma sono miei i versi di tutti i poeti che hanno cosparso di margherite il mio a volte tetro proseguire. 
Vestirsi di poesia, sorseggiare poesia al crepuscolo, osservare la schiuma poetica del mare, bere poesia alla fonte del bello che avanza, distogliere lo sguardo dalla cenere fredda e sentire il fuoco che divora, per rigenerare, e come araba fenice risorgere dalle proprie ceneri

Rannicchiato all’interno di me
mi lascio semplicemente esistere…
Domani, 
cantavo, il canto di ieri

Gianni Jonathan Venturi
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