Quel giorno che sono morto.

Quel giorno che sono morto, la mia vita è profondamente cambiata.

ISIDE.

di mattina è una catena di brina

che mi lega alla terra

la mia così eternamente pregna

come pregno sono io di lei

poi vedo il fiume arrossato dell’orizzonte

che incendia le cime dei pioppi

come il grande treno sulla rotaia

Iside la donna che tramonta

la schiena oscenamente curva

con le mani così sporche di terra

una terra al culmine

che la notte già non la si riconosce

ma la Padania al mattino trasuda fiele

con macchine d’acciaio che la sventrano

e Iside vanga rabbiosa zolle dure e basse

ed è lontana la sera

Prima dovrei parlare di Iside, la mia maestra di vita, non che lei avesse chiesto questo ruolo, nemmeno sapeva d’essere la mia maestra. La chiamavano la Sampira, una sorta di strega buona, curava con le mani distorsioni, strappi dolori vari, ma la cosa più importante era che sanava la paura dei bambini, e nel mio caso anche degli adulti. Non aveva mai studiato, completamente analfabeta, però parlava con gli alberi. Per curare aveva un rituale tutto suo, incomprensibile, attingeva acqua da pozzi, faceva altarini, pregava a suo modo, ma la realtà era che possedeva un energia nelle mani enorme, e la sua sola presenza acquietava.

Viveva accanto a casa mia, una casetta piccola nella quale mi sentivo in paradiso, una serenità che all’epoca per me era rara e ambita. Mi aveva preso in simpatia, ed io a lei, la prima volta che mi vide, mi chiese se ero zingaro, ancora non sapevo che mia Madre era figlia di uno zingaro adottato in Italia, un Gitano dell’Almeria.

Io sin da bimbo, ho vissuto con l’illusione di percepire gli spiriti dei morti. Sono consapevole che oltre a non avere prove di questo, posso apparire folle, magari non sono folle, ma autistico si, per via della sindrome di Asperger. Ho lottato anni per smettere di sentire e vedere, non con gli occhi, ma con sguardo interiore. Sono stato costretto a soffocare la mia spiritualità e abusare di una sorta di pragmatica autodifesa.

Parlo di iside, perché lei, mi aveva conosciuto, sapeva esattamente cosa si nascondeva dietro al mio teatrare la vita, non aveva nemmeno la televisione, solo una radio che accendeva la sera per ascoltare un po’ di musica. Tutto il suo sapere era legato alla terra. Un giorno, dopo una notte travagliata incubi e visioni, lei mi vide, senza dire niente mi fece enrare in casa sua, ogni volta che stavo per parlare mi zittiva con un dito sulle labbra. Avevo la sensazione di sprofondare, la notte era stata terribile, avevo visto mia Madre nel dormiveglia che mi chiamava a se, la sensazione di navigare in un mare denso e scuro, che mi si era avvinghiata come catrame sulla pelle. Iside, cantilenava una nenia appena percettibile, mi segnava la testa più volte, mi accarezzava, e come per incanto la nebbia nera svaniva!

Non voleva che le facessi domande, un giorno di pioggia, mi chiamò in casa perché non riusciva a capire una bolletta della luce che le era arrivata, capii subito che si trattava di una scusa, voleva offrirmi un caffè, mi sedetti mentre lo preparava, fu quel giorno che all’improvviso mi disse che possedevo il dono. Non capivo di che parlasse, mi parlò del tocco della mano calda, in parole povere pranoterapia. Mi disse di fare una prova, prendere un pesce e ogni giorno imporgli le mani per dieci minuti, non metterlo in frigo. Se il pesce non fosse andato a male, voleva dire che avevo il dono. Ripetere oggi queste parole mi fa sorridere, e sono consapevole che posso apparire folle, purtroppo è tutto reale. Dico purtroppo perché poi per alcuni anni mi sono quasi svuotato facendo pranoterapia ad amici e parenti, senza avere la spiritualità sufficiente da ricaricarmi. Per quanto concerne il pesce divenne rigido e duro, ma non puzzò mai!

Oggi la mia razionalità è un ostacolo per ricominciare, l’unico dono che ancora padroneggio è quello di sanare la paura con la parola. Lo so che gli amici che leggeranno queste parole faranno fatica a riconoscermi, mi spiace, ma è quello che sono ancora oggi, un ricercatore del divino.

Questa introduzione per arrivare al giorno che sono morto e a cosa è successo durante.

IL VIAGGIO.

Avevo l’abitudine di riempire la vasca con acqua molto calda, e poi piano piano immergermi, mi piaceva molto, restare dentro con bagno schiuma e la sensazione di benessere estrema. Improvvisamente lo squillo del telefono che si trovava fuori dal bagno mi svegliò dal torpore, mi alzai di scatto e mi precipitai a rispondere. Sollevai la cornetta, nessuno. Da li cominciò tutto.

Sentii un dolore fortissimo all’altezza del cuore, caddi per terra, mentre perdevo conoscenza, mi trovai immerso in un buio profondo inspiegabile, senza la consapevolezza di me, questa sensazione durò molto tempo, mi sembrava non finisse mai, avvertivo una sorta di vibrazione, come se stessi viaggiando a velocità folle, ricordo perfettamente la sensazione, ma anche la mia incapacità di formulare pensieri o domande.

Dopo un tempo indefinibile, vidi una sorta di luce in lntananza, una piccola e flebile luce, scorrevo letteralmente verso quella luce, avvertivo un ronzio persistente, una vibrazione solenne, la luce si avvicinava, ma sempre lontana, poi, finalmente la raggiunsi, a velocità estrema, scoppiai, in un mondo di luce e colore. Ero in alto, volavo, non vedevo nulla del mio corpo, riuscii a formulare il primo pensiero:sto sognando. Volavo in un cielo splendido, vedevo colori mai visti, uccelli che mi sia affiancavano per nulla spaventati, ancora non vedevo nulla di me, solo luce, mi abbassai tra fiori meravigliosi e alberi stupefacenti. Può apparire esagerata questa descrizione, ma nemmeno lontanamente si avvicina alla realtà. Salivo e scendevo, provavo una sensazione di serenità che ancora ne ho memoria, ma mi pare irragiungibile.

Passarono ore e ore, credo, non avevo una reale percezione del tempo, se stavo dormendo pensai, non voglio sevgliarmi mai più. Improvvisamente dall’alto avvertii un suono come di campana, cercai di vedere da dove arrivava, vidi una costruzione molto lontana che sembrava una sorta di piramide, vedevo tantissime figure che si dirigevano verso la struttura, decisi di avvicinarmi, sentivo che ne facevo parte, mano a  mano che mi avvicinavo, vedevo cose, una porta immensa, nella quale s’infilavano persone.

Mi avvicinavo e qualcosa di conosciuto entrava in me, sapevo dove mi trovavo, avevo la ceretzza di saperlo, eppure ero all’oscuro. Entrai in volo dalla porta, mi vedevano, ne ero certo, ma non interagivano con me, avevo una strana sensazione di panico, la serenità stava scemando. Entrai in una stanza immensa, al centro c’era una sorta di altare, con sopra un cuore, il mio! Si, avevo la reale percezione del mio cuore sulla pietra. Fermo! Intorno all’altare stavano intonando una sorta di nenia mantrica, improvvisamente mi voltai verso la porta e vidi entrare una figura che sapevo di conoscere, mentre aspettavo di vederla da vicino, un dolore violentissimo mi fece scuotere, il cuore si mosse sull’altare. “Non è pronto.” Disse una voce, “si, sta tornando.” Disse un’altra, venni attratto da una forza potente dal mio cuore, ma non volevo, attendevo la figura che si avvicinava, ero disperato, volevo vederla, ma la forza di attrazione era incredibile, stavo per cedere quando la vidi! Mia Madre, che mi salutava sorridendo, sentivo come in un sussurro la sua voce che mi diceva: “Ci rivedremo amore mio!”

Mi trovai sdraiato per terra sul pavimento, con mia moglie che piangeva, un amico e gli infermieri dell’ambulanza, la nenia dolcissima che sentivo nella realtà era Whitney Houston che cantava: I Will Alwais Love You! Ho come la sensazione di essermi aggrappato a quel canto per tornare. Da quel giorno ogni volta che ascolto quel brano ritorno con la mente in quel luogo fantastico e piango. Restai quasi paralizzato per una settimana, ero morto per qualche minuto, il tutto era durato con il mio svenimento un ora, ma per me erano passate tante ore. Da sdraiato sul mio letto, accudito come un principe, ebbi la certezza di avere il dono della Pranoterapia, da li cominciai.

So che credermi è difficile, lo è pure per me, sogno? Visione? Si tratta però di comprendere cosa siano i sogni e le visioni, da dove arrivano. Una cosa la so, da quel giorno ho la certezza interiore che la morte è solo un passaggio, nulla più!

NAUFRAGANDO NELL’IMMENSITA’

vorrei disquisire dell’immensità

che a volte sorprende l’anima vellutata

ma l’incedere del quotidiano

annacqua l’infinito

guardo dalla finestra la nebbia che avvolge i frutteti

mi ci immergo come se la vita potesse esserne pregna

d’una nebbia purpurea che ricorda vagamente la luce

questa mia scrittura risente dell’abbandono nel sociale

versi avvinghiati al quotidiano

che rammentano di tanto in tanto

l’immenso dal quale provengono

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